lo spettacolo
Lo
spettacolo
ha
come
punto
di
partenza
un
fatto
realmente
accaduto:
nel
dicembre
del
2007
in
un’acciaieria
di
Torino,
si
scatena
un
incendio
in
cui
perdono
la
vita
sette
operai.
Una
tragedia
che
tocca
nel
profondo
l’Italia
intera,
in
cui
le
“Morti
Bianche”
hanno smesso da tempo di fare notizia.
Una
disgrazia
figlia
della
ricerca
del
profitto
ad
ogni
costo,
di
una
burocrazia
ottusa
e
inutile,
di
leggi
sulla sicurezza spesso ignorate.
Sei
dirigenti,
con
a
capo
l’amministratore
delegato,
vengono
processati
e
condannati
al
massimo
della
pena.
Il
gruppo
siderurgico
offre
una
cifra
da
capogiro,
mai
vista
in
un
processo
penale
del
lavoro
per
evitare
che
le
famiglie
delle
vittime
si
costituiscano
parte
civile
e
ottenere
così,
grazie
all’accordo,
uno
sconto
di
pena.
Ma
il
tentativo
della
multinazionale
di
uscire
al
riparo
dall’opinione
pubblica fallisce miseramente.
La
messinscena
costruita
in
cinque
blocchi
mostra
le
due
facce
di
ogni
soggetto
preso
in
esame,
quello
ufficiale
(l’abito)
e
quello
umano,
il
tutto
intervallato
da
frammenti
di
sentenza.
Gli
Operai,
i
Dirigenti,
i
Parenti
delle
vittime
e
la
Giustizia,
tutti
su
di
una
grande
giostra
in
cui
il
moto
continuo
svela
i
diversi
volti “Yin-Jang” di ognuno.
Chi
guarda
può
percepire
che
la
verità
non
è
qualcosa di univoco, ma di inafferrabile.
Non si può, non si riesce a trovare una risposta.
E la verità si trasforma in dubbio.
“Quattordici
vite
spezzate.
Sette
morti,
sette
ancora
vivi,
ma
segnati
per
sempre
per
non
avere
avuto
il
coraggio
di
dire
No.
Libertà,
Giustizia,
Futuro,
Identità
e
Verità,
tutti
temi
imbastiti
con
un
filo
sottile
e
poco
resistente.
Così
si
cuce
il
vestito
dell’uomo
contemporaneo,
fragile,
impaurito
che
vive
nonostante
tutto,
ma
incastrato,
immobilizzato
dalla Paura”.
“Siedo
sulla
schiena
di
un
uomo
soffocandolo,
costringendolo
a
portarmi.
E
intanto
cerco
di
convincere
me
e
gli
altri
che
sono
pieno
di
compassione
per
lui
e
manifesto
il
desiderio
di
migliorare
la
sua
sorte
con
ogni
mezzo
possibile.
Tranne
che
scendere dalla sua schiena.”
(Tolstoj - Che fare?)